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ELIO MARCHEGIANI: MEZZO SECOLO DI PRODUZIONE IN MOSTRA AL CARMINE

Sabato 24 marzo l'inaugurazione. Venti opere donate dall'Artista alla Città di Marsala

ELIO MARCHEGIANI
LINEE DI PRODUZIONE 1957 - 2007

a cura di Sergio Troisi

24 marzo - 24 giugno 2007
Convento del Carmine, Marsala

MARCHEGIANI DONA 20 OPERE ALLA SUA SICILIA IN OCCASIONE DELLA GRANDE ANTOLOGICA A MARSALA

Marsala 22 marzo 2007. Elio Marchegiani in questa sua antologica alla Pinacoteca di Marsala lascerà un segno. Un segno importante, significativo, generoso: venti opere della sua collezione privata saranno donate dall'Artista alla città di Marsala, ad arricchire la già ampia collezione di opere del novecento italiano dell'Ente Mostra. Un atto pregevole che l'Artista - mai dimentico della generosità stessa della sua terra, spazio connaturato da originaria e vigorosa storia e cultura - rende alla sua Sicilia, universo senza eguali di armonia, nobiltà e bellezza.

A Marsala, dal 24 marzo al 24 giugno, Elio Marchegiani presenta oltre ottanta opere che ripercorrono le tappe di un itinerario artistico, mai interrotto, che lo ha condotto alla ricerca delle tecniche più idonee a rappresentare i suoi stati d'animo, guidato dall'idea di, come Lui stesso dice: "fare per far pensare".

"Elio Marchegiani, linee di produzione 1957-2007", è il titolo dell'antologica organizzata dall'Ente Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea Città di Marsala e curata da Sergio Troisi che riunisce la sua ricca produzione di Artista poliedrico, refrattario alle mode e alle etichette, dagli anni Cinquanta ad oggi.

Marchegiani ha trascorso la sua vita tra Livorno, Roma, Milano, Bologna e Urbino, dove è stato titolare della cattedra di pittura e Direttore dell'Accademia di Belle Arti, dispiegando la sua capacità inventiva in posizione autonoma - e mai isolata - attraverso un percorso aperto di idee, una ricerca a tutto campo, senza mai sentirsi pago dei risultati raggiunti.
Le opere degli anni cinquanta presentano una personalità decisa a infrangere la crosta dell'abitudinario, col sostegno di svariatissime tecniche e linguaggi che toccano il sostrato, la forza interna e meno visibile delle cose: la materia in sé, con dinamiche proprie, che i mezzi si sforzano di delineare. E' nei due decenni successivi, tuttavia, che Marchegiani ha modo di irrobustire la sua arte di tutte le esaltazioni e le tensioni, delle spinte in avanti, delle reazioni e delle contraddizioni di quel tempo. Tempo aspro, spesso fatuo, certamente conflittuale, in cui Marchegiani distingue, sagacemente, l'accattivante, ma falso, mito "James Bond" dal ben altro mito "Aristotele", opere giustamente ospitate dall'Ente Mostra. Nella febbrile ansia di conquiste spaziali di quegli anni, "Occhio di Dio", opera del 1965, è solo la divertente e canzonatoria maniera - alla Duchamp - di un intellettuale fuori dal coro? Oppure volle testimoniare che in ogni campo la nostra vita, compresa quella del "nuovo" millennio, si riduce, miserevolmente, a un solo incontrastato occhio: l'occhio della scienza applicata alla tecnica? Quando propose alla galleria d'arte "Apollinaire" di Milano "9000 mosche vive", Marchegiani non prese le distanze e allertò, sul piano sociale, quanti continuano a vivere da formiche cieche? Nel suo fitto linguaggio, composto da tecniche e procedimenti ignari della ripetizione, come nella messinscena "Il cieco", sottolineò che l'atto del fare arte risiede nella memoria, consiste, cioè, nella sedimentazione e nella discreta elaborazione delle esperienze, per concretizzarsi in un quid da costruirsi, senza nessuna riproduzione o copia conforme dell'oggetto in quanto tale. Queste intuizioni, unite al nuovo ciclo delle "Sinopie" e "Grammature di colore", costituirono una risposta al bisogno di "ritorno alla pittura". Restano personalissime tecniche, a metà strada tra un fare tipico da artigiano e una visione d'insieme d'artista, fino ai lavori più recenti: da Picasso a Duchamp, all'omaggio al poeta latino Orazio, da "Lo sguardo della Cina" a "C'è ancora chi ride". Lavori in cui vengono meno regole e canoni artistici consolidati, così come non è più il tempo di consacrare formule e capiscuola, una volta e per sempre; opere tutte incalzate da una caustica azione di verifica dei poteri, più autoritari che autorevoli, in nome dell'uomo, o di quel che rimane, oggi, di umano nei sentimenti e nel divenire della storia.