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150° A MARSALA: NELL'ORDINE, IL DISCORSO DEL SINDACO CARINI E QUELLO DEL PRESIDENTE NAPOLITANO

Gli interventi si sono tenuti in Piazza della Repubblica, di fronte una calorosa cornice di pubblico

   Celebrazioni del 150° Anniversario dello Sbarco dei Mille a Marsala
                                       
                                       11 Maggio 2010
 
   VISITA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO
 
 
                        Intervento del Sindaco Renzo Carini  
                                    
Signor Presidente della Repubblica
Signor Presidente del Senato
Signor Ministro della Difesa
Autorità
Cittadini

Grazie, Signor Presidente, per aver voluto onorare con la Sua autorevole presenza la Città di Marsala.

Grazie, Signor Presidente, per aver concesso alla Città di Marsala il privilegio di rilanciare - a distanza di un secolo e mezzo - quei valori risorgimentali sbarcati con i Mille.

Grazie, Signor Presidente, a nome dell'intera Comunità marsalese che - oggi, come in passato - continua a coltivare quel sentimento nazionale, che unisce tutti gli italiani sotto i colori della nostra bandiera, a ricordo di quella memorabile giornata dello Sbarco dei Mille.

Nel cuore antico della città, in questa storica Piazza della Repubblica, lo Stato italiano muoveva i suoi primi passi. Il Palazzo VII Aprile - che qui, tutti, potete ammirare - è il testimone di quegli eventi.

Fu Francesco Crispi, siciliano, a redigere di proprio pugno, l'11 Maggio, il certificato di battesimo dell'Italia unita: "Proclamate Vittorio Emanuele Re d'Italia e per lui Garibaldi Dittatore in Sicilia. Invitate tutti i comuni dell'Isola a seguire il vostro esempio. Il vostro voto sarà il punto di partenza alla trasformazione politica del nostro paese".

Signor Presidente, Marsala ha una storia millenaria. Qui si sono incontrate, sovrapposte, integrate, quasi tutte le Civiltà del Mediterraneo. Questa Città fu fondata dai Fenici che, grazie al commercio e alla navigazione, misero in comunicazione tutti i popoli del mare nostrum.

Questa è la Splendidissima Civitas Lilybetana del periodo romano, dove Cicerone - allora questore - scrisse le su famose verrine.

E' qui che, grazie agli Inglesi, verso la fine del '700 si scopre e si valorizza il vino marsala, oggi conosciuto in tutto il mondo non solo per la sua bontà, ma anche come simbolo di italianità. Ed è pure a Marsala che, qualche anno prima della Rivoluzione francese, il popolo lilibetano insorge per reclamare maggiori diritti e maggiore libertà.

Infine, è questa la città che - con tre marsalesi - combatte nel 1848 a Treviso; che, nell'aprile del 1860, si rivolta contro i borboni.


Signor Presidente, questa è Marsala, la sua "carta di identità", prima dello "Sbarco dei Mille". Da quella fatidica data dell'11 Maggio 1860, niente sarà più come prima.

I garibaldini partiti da Quarto - liguri, veneti, toscani, trentini, piemontesi, lombardi - dapprima, incontrarono difficoltà a comunicare con la popolazione locale, a causa dei differenti dialetti. Le iniziali difficoltà, però, furono subito superate perché comune era il sentimento di libertà che univa tutti.

L'aiuto che la Città di Marsala diede ai Garibaldini fu assolutamente determinante. I marsalesi offrirono viveri e tutto quello di cui le camicie rosse necessitavano, ed anche loro stessi. I volontari
lilibetani che si unirono ai Mille appena sbarcati furono quasi duecento; tre di loro moriranno a Calatafimi. Di tutto questo sarà riconoscente lo stesso Garibaldi quando, nel 1862, farà qui ritorno.

Anche durante la seconda guerra mondiale Marsala ha dato il suo tributo di sangue all'Italia. Era l'11 Maggio 1943 quando un violento bombardamento causò morte e distruzione: oltre mille furono le vittime civili. Ma i marsalesi, come sempre, si mostrarono forti, seppero reagire e risollevarsi.

Signor Presidente, l'odierna traversata da Quarto a Marsala, che ha ripercorso la storica rotta del 1860, conferma l'attualità di quello spirito che caratterizzò l'Impresa di Garibaldi.
Si racconta che nell'ultimo periodo della sua vita, Camillo Benso conte di Cavour, abbia detto con soddisfazione che "L'Italia è fatta". Si racconta, altresì, che Massimo D'Azeglio, protagonista anch'egli del Risorgimento Italiano, abbia scritto che "Fatta l'Italia, ora bisogna fare gli Italiani". Ebbene, da quella data del 17 marzo del 1861 la sfida della classe dirigente è stata quella di portare a compimento il senso di appartenenza allo Stato Italiano dei sui cittadini.

A distanza di quasi 150 anni dalla nascita dello Stato Unitario possiamo dire che - nonostante la presenza sul territorio di diversi tipi di sensibilità e di culture regionali, che sono una ricchezza per il Paese - tuttavia, tutte queste specificità si riconoscono oggi in un contenitore più ampio che tutte le comprende, confermando che l'obbiettivo dell'appartenenza è stato raggiunto.

Signor Presidente, la Sua presenza a Marsala è la significativa e confortante testimonianza che esiste lo Stato Italiano, che esiste la Repubblica Italiana, Una ed Indivisibile.

Signor Presidente, la Sua presenza a Marsala è l'affermazione che esistono anche gli Italiani, intesi - non come individui che si trovano occasionalmente insieme per la Nazionale di calcio - ma che esistono gli Italiani come complesso di persone; che condividono non solo il territorio, ma anche la stessa lingua, la stessa cultura, gli stessi valori, gli stessi sentimenti di solidarietà: la stessa bandiera.

E' proprio questa coscienza di un'identità sociale e culturale condivisa; è proprio questo sentimento di appartenenza a tale identità che rende, oggi, i cittadini italiani, una Nazione compiuta.

E l'Unità d'Italia è stata, senza alcun dubbio, un bene perché l'Italia pre-unitaria, fatta di tanti piccoli stati divisi, non avrebbe mai potuto raggiungere i risultati ottenuti, e non sarebbe arrivata ad essere il Grande Paese che è oggi.

Siamo assolutamente concordi con Lei, Signor Presidente, quando dice che le celebrazioni dell'Unità d'Italia non sono superflue, non sono una consueta liturgia, ma - invece - sono doverose, per riaffermare il sentimento più profondo di Nazione.

E la città di Marsala ha voluto sottolineare questo sentimento con le manifestazioni che sono state indette per l'occasione, giacchè abbiamo sempre avuto presente come il movimento che - partendo dallo Sbarco di Garibaldi e dei suoi Mille a Marsala, culminato l'anno successivo nella nascita dello Stato Unitario - non fu un regalo che qualcuno ci ha fatto; è stato anzi il frutto del sacrificio, del patimento e della passione civile di Tutti. Quei Tanti che, con il loro contributo ed anche a costo della loro vita, hanno fortemente voluto che il popolo italiano si raccogliesse sotto la stessa bandiera.

Anche se il nome della maggior parte di quelle persone che parteciparono all'avventura garibaldina, si è perduto nel tempo, Noi abbiamo l'obbligo di non dimenticare. Ed oggi, unitamente a Lei, Signor Presidente, abbiamo inteso rendere omaggio a tutti coloro che parteciparono all'epopea garibaldina, dando loro un supplemento di memoria affinchè le loro speranze ed i loro sacrifici non siano stati inutili, ma rimangano sempre vivi e costituiscano un esempio di quella che Virgilio chiamava "Pietas", cioè l'amore dovuto alle proprie radici ed alla propria storia.

I Marsalesi non dimenticheranno l'alto onore che, con la Sua visita, Ella ha voluto rendere alla città.

Grazie, Signor Presidente, per aver voluto sfogliare insieme a noi questa bella pagina di storia risorgimentale che, poco meno di un anno dopo, è diventata Storia dell'Unità d'Italia.

Grazie, Signor Presidente. 


 
                                               ***
 
 
     Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Abbiamo il 5 maggio ricordato la partenza dallo scoglio di Quarto della spedizione dei Mille, rendendo omaggio alla figura di Garibaldi e alla schiera dei suoi volontari, all'audacia dell'impresa che aprì la fase conclusiva del lungo percorso del movimento per l'Unità d'Italia. Oggi siamo qui per rievocare il ruolo della Sicilia nel compimento del processo di unificazione nazionale. Senza la Sicilia e il Mezzogiorno non si sarebbe certo potuto considerare compiuto quel processo, non si sarebbe potuto far nascere uno Stato che rappresentasse pienamente la nazione italiana e che si ponesse, in pieno Ottocento, tra i maggiori Stati europei.
E la Sicilia non fu passivo teatro della spedizione garibaldina. Quella stessa spedizione non vi sarebbe stata se dalla Sicilia non fossero giunti i segni del possibile successo dell'impresa. I dubbi, le esitazioni di Garibaldi fino alla vigilia della partenza da Quarto riflettevano la sua ferma convinzione che non si potesse correre il rischio di un nuovo disperato tentativo di azione armata nel Mezzogiorno, in vista di una sollevazione rivoluzionaria, che come quella guidata nel 1857 da Carlo Pisacane fallisse tragicamente anche per l'ostilità incontrata nella popolazione.
In effetti, dalla Sicilia, in quell'aprile del 1860, erano giunti i segni di una crescente aspettativa e predisposizione per un possibile congiungersi del movimento nazionale unitario con la volontà di ribellione della Sicilia contro il dominio borbonico. Il momento culminante fu toccato, a Palermo, con lo scontro al Convento della Gancia, e anche se le notizie sull'esito di quello scontro furono all'inizio, per essere poi smentite, di completo insuccesso, prevalse infine la valutazione che si potessero riscontrare in Sicilia condizioni favorevoli per la riuscita della spedizione. Per quella decisione, per quella spedizione, si erano spesi, con Garibaldi, i siciliani Francesco Crispi, Rosolino Pilo, Giuseppe La Masa.
E rimane un fatto storicamente indiscutibile - al di là di ogni varietà di accenti tra gli studiosi - che ben prima dell'aprile 1860, quando comunque si estese ai paesi vicini l'insurrezione soffocata, alla Gancia, nella città di Palermo, si erano venuti moltiplicando, a partire dall'estate-autunno 1859, i fermenti rivoluzionari e i moti contadini in Sicilia. Lo sbarco di Garibaldi e dei Mille si giovò di quel clima, e suscitò a sua volta un più ampio fenomeno insurrezionale. Come hanno scritto storici di diverse tendenze, "per la prima volta una regione italiana insorgeva di sua iniziativa contro il regime esistente" e ciò creò "una situazione del tutto nuova" per il movimento unitario su scala nazionale (Romeo) ; "la Sicilia fece sì che il sogno pluridecennale dell'iniziativa meridionale diventasse realtà" (Berti). Scrisse il 4 maggio Garibaldi ad un amico: "L'insurrezione siciliana porta nel suo grembo i destini della nostra nazionalità".
Sulla via della Sicilia decisiva fu la sosta a Talamone, per acquisire armi e munizioni e per dare un'organizzazione militare ai volontari che erano stati a Quarto imbarcati alla rinfusa. Vennero lì raggruppati in 8 compagnie, facenti capo a 2 battaglioni, uno dei quali al comando di Nino Bixio e l'altro al comando del siciliano Giacinto Carini.
Lo sbarco a Marsala avvenne senza perdite anche grazie alla buona sorte. Se l'improvvisa comparsa nelle strade di quella città della singolare schiera dei Mille, colse di sorpresa ed estranea la popolazione, già ben più calorosa fu l'accoglienza a Salemi. Lì Garibaldi compie l'atto solenne con cui dichiara di assumere la dittatura della Sicilia in nome dell'Italia e di Vittorio Emanuele II. Tutto sarebbe radicalmente cambiato dopo la battaglia di Calatafimi ; sull'onda della straordinaria prova di abnegazione e capacità di vincere dei garibaldini - condotti al successo contro soverchianti forze borboniche, in sei ore di duri combattimenti, dal genio di condottiero e dal personale coraggio di Garibaldi - l'entusiasmo dilagò in tutta la Sicilia ; e sempre più consistente si fece l'apporto delle squadre di "picciotti" che insorsero combattendo insieme ai Mille fino alla dura battaglia e al trionfo di Palermo. No, la Sicilia non fu passivo teatro di un'offensiva liberatrice condotta da altri ; espresse forze proprie per affrancarsi da un regime che da tempo sentiva nemico, e contribuì decisamente a uno storico balzo in avanti del movimento per l'Unità italiana.
In quella mobilitazione di strati importanti della società siciliana, pesò in modo determinante la svolta che si era prodotta nelle classi dirigenti, nei ceti proprietari. La svolta, cioè, che ne segnò il passaggio, da un orientamento mirante alla completa indipendenza statuale siciliana, a un'adesione piena all'obbiettivo dell'unificazione nazionale italiana sotto l'egida del Regno del Piemonte. La crescente insofferenza e reazione verso una prassi accentratrice e uniformatrice della monarchia borbonica che reggeva il Regno delle Due Sicilie, si era così incanalata nell'alveo di quel più ampio indirizzo e movimento reale che Garibaldi aveva riassunto nella formula "Italia e Vittorio Emanuele" come bandiera della stessa spedizione dei Mille.
La Sicilia già protagonista della Rivoluzione del 1848 si fece così protagonista della fase risolutiva della lotta per l'Unità italiana.
Le celebrazioni del 150° anniversario della fondazione del nostro Stato nazionale offrono dunque l'occasione per mettere in luce gli apporti della Sicilia e del Mezzogiorno a una storia comune e ad una comune cultura, che affondano le loro radici in un passato plurisecolare, ben precedente lo sviluppo del processo di unificazione statuale della nazione italiana. Di quel patrimonio, culminato nelle conquiste del 1860-1861, possiamo come meridionali essere fieri : non c'è spazio, a questo proposito, per pregiudizi e luoghi comuni che purtroppo ancora o nuovamente circolano, nell'ignoranza di quel che il Mezzogiorno, dando il meglio di sé, ha dato all'Italia in momenti storici essenziali.
E' nello stesso tempo necessario che in un bilancio critico del lungo periodo che ha seguito l'unificazione d'Italia, non si coltivino nel Mezzogiorno rappresentazioni semplicistiche delle difficoltà che esso ha incontrato, dei prezzi che ha pagato, per errori e storture delle politiche dello Stato nazionale nella fase della sua formazione e del suo consolidamento.
Il ripescare le vecchissime tesi - come qualche volta si sente fare - di un Mezzogiorno ricco, economicamente avanzato a metà '800, che con l'Unità sarebbe stato bloccato e spinto indietro sulla via del progresso, non è degno di un approccio serio alla riflessione storica pur necessaria. E non vale nemmeno la pena di commentare tendenze, che per la verità non si ha coraggio di formulare apertamente, a un nostalgico idoleggiamento del Regno borbonico.
Si può considerare solo penoso che da qualunque parte, nel Sud o nel Nord, si balbettino giudizi liquidatori sul conseguimento dell'Unità, negando il salto di qualità che l'Italia tutta, unendosi, fece verso l'ingresso a vele spiegate nell'Europa moderna. Mentre chi si prova a immaginare o prospettare una nuova frammentazione dello Stato nazionale, attraverso secessioni o separazioni comunque concepite, coltiva un autentico salto nel buio. Nel buio, intendo dire, di un mondo globalizzato, che richiede coesione degli Stati nazionali europei entro un'Unione più fortemente integrata e non macroregioni allo sbando. Lasciamo scherzare con queste cose qualche spregiudicato giornale straniero.
A pregiudizi e luoghi comuni contro il Mezzogiorno, la sua storia e anche la sua travagliata e complessa realtà attuale, tutte le forze rappresentative delle regioni meridionali debbono però opporre un sereno riconoscimento delle insufficienze che esse hanno mostrato in decenni di autogoverno. E' oggi all'ordine del giorno, in attuazione del Titolo V, riformato nel 2001, della Costituzione repubblicana, un più conseguente sviluppo delle autonomie secondo un'ispirazione federalista. Il riconoscimento di un'autonomia speciale alla Regione Siciliana fu, nel 1946, non solo la risposta a una storica aspettativa della Sicilia, frustrata all'indomani dell'Unità d'Italia, ma l'apertura di un nuovo capitolo di promozione, in tutto il paese, delle autonomie come perno della Repubblica una e indivisibile. Ebbene, possiamo dirci soddisfatti, da meridionali, del modo in cui ci siamo avvalsi di quella preziosa leva che sono state le Regioni a statuto speciale e a statuto ordinario?
Non è la prima volta che lo dico, e sento il bisogno di ripeterlo ; le critiche che è legittimo muovere in modo argomentato e costruttivo agli indirizzi della politica nazionale, per scarsa sensibilità e aderenza ai bisogni della Sicilia e del Mezzogiorno, non possono essere accompagnate da reticenze e silenzi su quel che va corretto, anche profondamente, qui nel Mezzogiorno, sia nella gestione dei poteri regionali e locali e nel funzionamento delle amministrazioni pubbliche, sia negli atteggiamenti del settore privato, sia nei comportamenti collettivi. E parlo di correzioni essenziali anche al fine di debellare la piaga mortale della criminalità organizzata.
Nello stesso tempo si deve chiedere a tutte le forze responsabili che operano nel Nord e lo rappresentano, di riflettere fino in fondo su un dato cruciale : l'Italia deve nel medio e lungo periodo crescere di più e meglio, ma può riuscirvi solo se crescerà insieme, solo se si metteranno a frutto le risorse finora sottoimpiegate, le potenzialità, le energie delle regioni meridionali.
Siano dunque le celebrazioni del 150° del nostro Stato nazionale, l'occasione per determinare un clima nuovo nel rapporto tra le diverse realtà del paese, nel modo in cui ciascuna guarda alle altre, con l'obbiettivo supremo di una rinnovata e più salda unità. Che è, siamone certi, la sola garanzia per il nostro comune futuro.